MEDICINA INTERNA: SI APRE L’ERA DEL ‘DEPRESCRIBING’ E DEL ‘LESS IS MORE’

A Roma il 123° congresso della Società Italiana di Medicina Interna SIMI

  • Gli esperti della Società Italiana di Medicina Interna sollecitano un’urgente riflessione sul fenomeno della ‘polifarmacia’, cioè sull’eccesso di prescrizione di terapie farmacologiche. In Italia il 66% degli adulti assume oltre 5 farmaci e 1 anziano su 3 oltre 10 farmaci l’anno

  • Necessario pensare a linee di indirizzo per guidare i medici non solo alla prescrizione di un farmaco ma anche alla sua ‘de-prescrizione’, cioè a quando e come è opportuno sospenderlo

  • Il movimento del ‘lessis more’ ha tra i suoi sostenitori Rita Redberg, direttore della rivista scientifica JAMA Internal Medicine e sta prendendo piede in tutto il mondo

  • Se ne parlerà a Roma al congresso nazionale della Società Italiana di Medicina Interna (21-23 ottobre 2022) che prende il via oggi a Roma all’Hotel Rome Cavalieri

I progressi della medicina non si registrano solo in base al numero di pillole prescritte. A volte, per il bene del paziente, è necessario fare marcia indietro, sfoltendo la loro ‘polifarmacia’, che significa prendere più di 5-6 medicine al giorno, condizione comune in almeno i due terzi degli anziani, come evidenzia uno studio americano pubblicato su JamaInternal Medicine nel 2016. Certo, l’allungamento della vita porta con sé varie conseguenze, come la comparsa di patologie croniche, che spesso si associano in uno stesso paziente. Avere una ‘regia’ centrale, come quella offerta dal medico internista, mette al riparo i pazienti dai rischi di una ‘polifarmacia’ troppo affollata, dovuta alla ‘collezione’ di tante prescrizioni di farmaci diverse, una per ogni specialista consultato, spesso in conflitto tra loro, tanto da provocare interazioni ed effetti indesiderati, che possono pregiudicare la sicurezza del paziente. “Alcuni studi, condotti nell’ambito del programma REPOSI (REgistroPOliterapie della Società Italiana di Medicina Interna), un network di reparti di medicina interna e geriatria italiani – ricorda il professor Giorgio Sesti, presidente della Società Italiana di Medicina Interna –hanno messo ben in evidenza il fenomeno della polipharmacy e le sue ricadute. A rischio di effetti indesiderati sono soprattutto le persone con una ridotta funzionalità renale, condizione comune tra gli anziani”. Uno studio condotto su oltre 5 mila pazienti over 65 del registro REPOSI, ha evidenziato che almeno la metà mostrava una compromissione moderata della funzionalità renale; il 14% una compromissione funzionale grave e infine il 3% molto grave. Tra i pazienti con ipertensione, diabete, fibrillazione atriale, coronaropatia e scompenso, all’11% veniva prescritto un dosaggio di farmaci inappropriato rispetto alla funzionalità renale. E nel follow up, una inappropriatezza prescrittiva si associava ad un aumentato rischio di mortalità per tutte le cause del 50% (OR 1.49). “Il 66% dei pazienti adulti assume 5 o più farmaci e un anziano su tre assume oltre 10 farmaci in un anno (dati OsMed) – ricorda il professor Gerardo Mancuso, vicepresidente nazionale della SIMI – e questa percentuale si è consolidata negli ultimi anni, provocando un aumento delle cause di ricovero per eventi avversi per interazioni farmacologiche. La prescrizione multipla di farmaci talvolta mitiga o annulla i benefeci ed aumenta le complicanze e la mortalità. Nei pazienti anziani il delirium, le cadute, la ipotensione, l’emorragia ed altre condizioni, riconoscono come causa la politerapia. De-prescrivere le molecole farmacologiche è una attività che l’internista deve fare in tutti i pazienti, ma soprattutto negli anziani.   

È necessario invertire questa tendenza – sostiene Sesti – e inaugurare l’era del ‘deprescribing’. Ma perché questo avvenga, dobbiamo aumentare la consapevolezza di pazienti e medici, in particolare quelli di famiglia e gli internisti, invitandoli, dopo un’anamnesi farmacologica accurata, a ‘sfoltire’ le prescrizioni a cominciare dai loro pazienti più anziani”. L’eccessiva prescrizione di farmaci può determinare gravi interazioni farmacologiche e mettere a dura prova i reni e il fegato dei pazienti più agés, e questo fenomeno sta cominciando ad emergere in tutta la sua gravità anche all’estero”. “Oltre al programma REPOSI – ricorda il professor Nicola Montano, Vice Presidente e Presidente Eletto della SIMI – la nostra Società ha lanciato nel 2016 la sua campagna ChoosingWisely, sulla scorta di quanto stava accadendo negli Stati Uniti, in Canada e in moltissimi paesi europei. Il razionale di questo nuovo approccio culturale è di sensibilizzare medici e pazienti a ridurre esami e trattamenti che hanno dimostrato una scarsa utilità e quindi aumentare la sicurezza dei pazienti da una parte,riducendo gli sprechi dall’altra. La nostra Società è stata una delle prime ad attuare un progetto di ricerca multicentrico, per valutare gli effetti di un intervento educazionale sui medici volto a ridurre alcune pratiche di low-care ospedaliere, ottenendo risultati molto promettenti, pubblicati nel 2021 sull’European Journal of Internal Medicine”.

La professoressa Rita Redberg, direttore di JAMA Internal Medicine e professore di cardiologia alla University of California, San Francisco, che prenderà parte al congresso nazionale della Società Italiana di Medicina Interna, è una delle fautrici del movimento Choosing Wisely. “È suo – ricorda il professor Montano – lo slogan ‘less is more’, pubblicato per la vita volta nel 2010, che potremmo sintetizzare con il concetto che ‘fare meno talvolta è meglio che fare di più’ per i nostri pazienti”.

Il lessis more – prosegue Sesti – non vale solo per le medicine, ma anche per i troppi esami, alcuni dei quali (le TAC) ad esempio comportano rischi per la salute legati ad un eccesso di radiazioni. Un articolo del National Cancer Institute pubblicato su JAMA Internal Medicine ha stimato che considerando il numero di TAC effettuato nel 2007 sarebbe lecito attendersi un eccesso di 60 mila casi di cancro e ben 30 mila morti in eccesso. Ora di certo, molti di questi esami potrebbero aver contribuito a salvare delle vite, facendo scoprire ad esempio un tumore in fase precoce. Ma la stragrande maggioranza poteva forse essere evitata. Quindi anche in questo caso la parola d’ordine è ‘appropriatezza’, soprattutto quando un esame a ‘rischio’ viene prescritto ad un paziente giovane”.

Insomma, il deprescribing, almeno concettualmente, poggia su basi molto solide. Adesso però i medici dovranno andare a scuola per imparare a sospendere le medicine ai loro assistiti, senza fare danni. “Si tratta di un importante cambio di paradigma – commenta Sesti – che investe soprattutto la sfera della prevenzione primaria, dove dieta, attività fisica e smettere di fumare possono fare molto, senza necessità di medicalizzare un soggetto, che non è ancora paziente. Dobbiamo inoltre analizzare con attenzione tutte le prescrizioni fatte ai nostri pazienti, in particolare se anziani. Sarà facile accorgersi che molte possono essere eliminate; in un soggetto con un’aspettativa di vita limitata, alla dimissione dall’ospedale, sarebbe opportuno chiedersi quali sono le medicine realmente necessarie, eliminando tutte le altre. Riteniamo che su questo punto sia necessario organizzare una consensusche indichi la strada da seguire in questa direzione, per guidare l’operato dei medici con una serie di decisioni condivise, volte a migliorare l’appropriatezza prescrittiva. E intanto, per il prossimo 27 Ottobre, la SIMI ha organizzato insieme all’Istituto Superiore di Sanità un convegno, volto a facilitare l’applicabilità, nella pratica clinica, delle Linee Guida su Multimorbilità e Politerapia, recentemente pubblicate dal Sistema Nazionale Linee Guida”.

Deprescribing significa anche rivedere periodicamente insieme al paziente (o ai suoi familiari) tutte le sue prescrizioni per eliminare quelle più a rischio (tipicamente benzodiazepine, antidepressivi, ‘supplementi’ vari, inibitori di pompa protonica, oppiacei, antinfiammatori non steroidei, e altri ancora) o non strettamente utili. “Un esercizio – riflette Sesti – che potrebbe sembrare utopico visto lo scarso tempo a disposizione dei medici, specialisti o non, ma necessario. E d’altronde, l’inerzia prescrittiva, quella che porta a ripetere le prescrizioni anno dopo anno senza una rivalutazione critica, non rappresenta una strategia vincente. Secondo un’analisi recente, 1 ricovero su 11 a carico dei pazienti anziani, può essere ricondotto ad una prescrizione sbagliata o agli effetti indesiderati dei farmaci”. Questo ha portato la Society for Post-acute and Long Term Care americana a lanciare negli Usa la campagna ‘Drive to deprescribe’ (vi hanno aderito finora oltre 4.500 strutture sanitarie americane), mirata ad ottimizzare la prescrizione di farmaci nei pazienti ricoverati in post-acuzie o nelle RSA, particolarmente interessate dal fenomeno della polifarmacia. Obiettivo di massima è ridurre del 25% il numero di prescrizioni entro un anno. Questa società scientifica svolge regolari seminari online con un focus su diversi gruppi di farmaci (il 20 ottobre ne è previsto uno su statine, antipertensivi e aspirina). Altri paladini del movimento deprescribing sono gli esperti statunitensi del National Institute on Aging che nel 2019 hanno lanciato lo US Deprescribing Research Network. Un altro deprescibing network è stato creato in Canada, con offerta di borse di studio e seminari per dibattere l’argomento. E intanto su Pubmed, il numero delle pubblicazioni sul deprescribing aumenta di anno in anno.

Insomma l’epoca del ‘lessis more’ è iniziata.

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