HIV, ancora troppe differenze.

Il Piano nazionale AIDS viene applicato in maniera difforme sul territorio nazionale. Molti i ritardi.  

Firmato il manifesto per un nuovo impegno delle Istituzioni

  • I risultati del Progetto APRI – AIDS Plan Regional Implementation, svolto da SDA Bocconi School of Management con il contributo di Gilead Sciences, sono stati presentati nel corso dell’evento “L’HIV 40 anni dopo”:
    • Ritardi nell’implementazione del PNAIDS a livello regionale in termini di comunicazione, sensibilizzazione, accesso ai test e percorsi di presa in carico dei pazienti
    • 4 casi studio – Piemonte, Puglia, Sicilia e Veneto – per rispondere concretamente alle aree d’intervento prioritarie 
  • Istituzioni nazionali e regionali firmano il primo Manifesto per un rinnovato impegno nella lotta all’HIV 
  • Mastroianni, SIMIT: “L’implementazione del PNAIDS sul territorio è non solo auspicabile ma necessaria. Serve integrare centri specialistici e rete territoriale per una presa in carico integrata del paziente cronico HIV+” 

Roma, 16 dicembre 2021 – A livello regionale la lotta all’HIV/AIDS procede a macchia di leopardo. A due anni dall’entrata in vigore del Piano nazionale di interventi contro HIV e AIDS (PNAIDS2017-2019, nel 2019, solo la metà delle Regioni lo aveva recepito con Delibere regionali, solonel 38% dei casi era stata nominata la Commissione regionale AIDS e si incontravasolo il 37% delle Regioni aveva realizzato campagne di comunicazione per le popolazioni target e solo il 28% delle Regioni aveva definito un PDTA dell’HIV. Una partenza lenta che, nonostante una ripresa nel 2019, in particolare sul fronte della nomina delle Commissioni regionali, fa trasparire ancora oggi diverse velocità e priorità regionali. È quanto emerge dai risultati del progetto di ricerca APRI – Aids Plan Regional Implementation svolto da SDA Bocconi School of Management con il contributo di Gilead Sciences presentato oggi nel corso dell’evento L’HIV 40 anni dopo. Rilanciare la lotta alla pandemia dimenticata.

Le lentezze a livello organizzativo e di implementazione del PNAIDS contribuiscono ad aggravare uno scenario di per sé critico, in cui la pandemia da HIV sembra essere stata dimenticata, all’ombra dell’epidemia da Covid-19 che ha causato un calo di oltre il 50% dei test HIV effettuati e ritardi nell’accesso ai servizi sanitari per visite e consulti[1]. Mancanza di informazione e sensibilizzazione alimentano il diffondersi dell’infezione soprattutto tra i più giovani esposti a una minor comunicazione sull’HIV a differenza del passato: l’incidenza più elevata di nuove diagnosi si riscontra infatti nella fascia di età 25-29 anni[2]. In Italia, si stima siano circa 120.000 le persone affette da HIV: di queste circa 100.000 sono state diagnosticate (83%) ma le rimanenti 20.000 (17%) sono ancora “sommerso” – “in attesa” di fare il test – con il rischio di diagnosi tardiva e aggravamento dell’infezione da un lato e la sua continua diffusione dall’altro.[3] Grazie ai progressi terapeutici, chi vive con l’infezione può controllarne l’andamento ed i sintomi, con un’aspettativa e una qualità della vita che possono diventare analoghe ad un soggetto non infetto. La scarsa conoscenza dell’HIV e la presenza di atteggiamenti discriminatori influenzano però negativamente la qualità della vita dei pazienti e il percorso terapeutico. Ad esempio, il 32% dei pazienti è o è stato vittima di episodi discriminatori.[4]

 

“La congiuntura storica che ci vede affrontare le conseguenze dell’emergenza pandemica da Covid-19 non può più rappresentare un ostacolo alla gestione e al trattamento delle altre patologie, specialmente quelle croniche come l’HIV su cui pesano maggiormente i ritardi di presa in carico e follow-up”. Così commenta Claudio M. Mastroianni, Presidente Società Italiana di Malattie Infettive e Tropicali (SIMIT) e Professore Ordinario di Malattie Infettive presso Sapienza Università Roma“L’implementazione del PNAIDS sul territorio è in questo senso non solo auspicabile, ma necessaria – continua Mastroianni – per far fronte in maniera adeguata alle sfide dell’HIV che – proprio per la sua natura ormai cronica – necessita di un modello rafforzato di presa in carico, dalla diagnosi, all’accesso alle cure fino alla gestione del follow up, all’interno della filiera assistenziale, integrando i centri specialisti con la rete territoriale“.

Proprio nell’ottica di contribuire all’applicazione di alcune azioni specifiche del PNAIDS e di rivedere i modelli di presa in carico dell’HIV è nato il progetto di ricerca APRI 2.0. Partendo dalle criticità emerse dalla prima fase dello Studio nel promuovere politiche e strumenti di contrasto alla diffusione dell’HIV a livello regionale, la seconda fase ha inteso identificare delle strategie d’intervento più adeguate attraverso la realizzazione di alcune case studies.

Dalla fotografia dello stato dell’arte nell’implementazione e attuazione del PNAIDS sul territorio italiano realizzata in una prima fase progettuale – spiega Lucia Ferrara del Cergas SDA Bocconi – emergevano alcune sfide e priorità d’intervento: rafforzare i programmi di comunicazione rivolta alle popolazioni target, promuovere strategie e interventi di sensibilizzazione continuativa, diffondere la cultura e l’accesso al test, investire sulla presa in carico continuativa del paziente. Da qui siamo ripartiti, in una seconda fase del progetto, con lo sviluppo di quattro casi studio che ci hanno permesso di sviluppare delle linee di intervento esplorative per dare risposte concrete a questi stessi ambiti d’intervento“.

Il caso del Piemonte ha consentito di individuare le opportunità per potenziare l’accesso al test e alla diagnosi precoce, mentre il caso della Puglia ha evidenziato le condizioni per migliorare l’integrazione ospedale territorio nella presa in carico del paziente. Il caso studio della Sicilia ha permesso di ragionare sulla presa in carico dei pazienti HIV come governo della filiera dei servizi e, infine, il caso del Veneto ha indagato la percezione dei pazienti HIV+ verso l’uso della telemedicina. 

 

Quattro casi che rappresentano degli esempi utili per delineare che solo attraverso un sistema integrato si può rilanciare efficacemente la lotta all’HIV con l’obiettivo di contrastarne la diffusione, contenerne l’impatto e migliorare qualità di vita e di cura di chi ne è colpito. Tutto ciò in linea con i “6 95” gli obiettivi posti a livello internazionale nella lotta all’HIV, da raggiungere per il 2025.[5] 

Obiettivi ambiziosi che richiedono un’azione congiunta e sinergica di tutte le ‘anime della Salute’, a partire dalle Istituzioni, chiamate a lavorare insieme proprio nell’ottica di rilanciare la lotta alla pandemia dimenticata puntando ad eliminare le limitazioni strutturali e gestionali-organizzative che impediscono un efficace contrasto alla diffusione del virus e un’adeguata qualità di vita dei pazienti. Un’azione da parte di legislatori, comunità scientifica, amministratori nazionali e regionali che si è concretizzata oggi con la sigla del primo Manifesto per un rinnovato impegno nella lotta all’HIV, un patto inter-istituzionale per la messa in campo di strumenti e modelli organizzativi di rilevamento epidemiologico e sorveglianza, di prevenzione e di gestione della cronicità che siano dinamici e in linea coi tempi, in un’ottica multicanale, senza barriere nell’implementazione sul territorio, senza divari tra regioni.

Come azienda farmaceutica impegnata da oltre 30 anni nell’area dell’HIV – afferma Valentino Confalone, Amministratore Delegato di Gilead Sciences Italia – non esauriamo il nostro impegno nella ricerca di terapie sempre più efficaci ma collaboriamo con istituzioni pubbliche e private, associazioni di pazienti e comunità scientifica per contrastare la diffusione dell’infezione e migliorare la qualità di vita e di cura delle persone che ne sono colpite. Il progetto APRI – continua Confalone – è un esempio concreto di questo impegno. Lo studio ha messo in evidenza criticità importanti ma la sua fase 2, con le 4 linee di azione identificate a livello regionale, offre un modello replicabile perché il Piano Nazionale possa vedere piena applicazione”. 

 

L’iniziativa “L’HIV 40 anni dopo” è stata patrocinata da Istituto Medicina Solidale.


[1] Europe’s journal on infectious disease surveillance, epidemiology, prevention and control 

[2] Dati Epicentro – Istituto Superiore di Sanità, https://www.epicentro.iss.it/aids/epidemiologia-italia 

[3] Elaborazione The European House – Ambrosetti su dati A. Mammone (2016) «How many people are living with undiagnosed HIV infection? An estimate for Italy, based on surveillance data»; L. Camoni, & the CARPHA Study Group (2018) «People diagnosed with HIV and in care in Italy in 2014: results from the second national survey”; Therapy Knowledge (2018), 2020 

[4] L’indagine è stata realizzata dalla Lega Italiana per la Lotta contro l’AIDS su un campione di 11.588 persone con lo scopo di indagare le conoscenze e gli atteggiamenti alla percezione del rischio di trasmissione dell’Hiv nella popolazione generale, lo stigma legato all’HIV, nonché i comportamenti sessuali e precauzionali. Ulteriori dati: 5% dei pazienti non rivela al proprio partner il proprio stato sierologico; 35% dei pazienti hanno ricevuto un rifiuto di un servizio sanitario; 23% dei pazienti hanno ricevuto un trattamento diverso da parte del proprio dentista. 

[5] Gli obiettivi UNAIDS fissati al 2025 prevedono che il 95% delle persone sieropositive sia consapevole del proprio stato, il 95% delle persone diagnosticate abbia accesso alle terapie antiretrovirali, il 95% di coloro che sono in trattamento ottenga la soppressione della carica virale, il 95% delle donne in età riproduttiva sia assistito da un servizio sanitario che ne assicuri i bisogni in termini di salute sessuale e riproduttiva e per il trattamento dell’HIV, ci sia il 95% di copertura dei servizi per l’eliminazione della trasmissione verticale del virus (il 95% delle donne in gravidanza o in allattamento ottenga la soppressione della carica virale,  il 95% dei bambini a rischio di aver contratto l’HIV sia sottoposto al test; il 95% delle persone a rischio di contrarre l’HIV abbia accesso a una combinazione di opzioni personalizzate, appropriate ed efficaci per la prevenzione del virus[5] – UNAIDS, 2025 AIDS target, https://aidstargets2025.unaids.org/   

 Quattro i casi studio sviluppati
e quattro gli interrogativi a cui APRI 2.0 ha provato a dare una risposta.

Quali sono le opportunità per potenziare l’accesso allo screening e testing? Il caso del Piemonte.

Con l’obiettivo di migliorare le occasioni per l’accesso allo screening e il linkage to care per la presa in carico delle persone con HIV nasce il case study con la Regione Piemonte, che ha visto un’azione coordinata e integrata tra servizi alla persona e alla comunità. Così sono state sperimentate nuove forme di connessione tra Distretto, Ospedale e Dipartimento di Prevenzione in un’Azienda pilota, l’ASL Alessandria. L’HIV/AIDS, infatti, può essere considerato come esempio paradigmatico per sviluppare nuove forme di coordinamento e connessioni tra servizi aziendali e tra Aziende e Regione Piemonte.

Quali sono le condizioni per migliorare l’integrazione ospedale territorio? Il caso della Puglia

Obiettivo del case study è quello di gettare le fondamenta per il rafforzamento della connessione ospedale – territorio quale base per la creazione della rete infettivologica pugliese. Nel 2019 la Regione aveva provveduto a recepire il PNAIDS e a nominare la Commissione regionale AIDS. Tuttavia, è emersa la necessità di intervenire maggiormente su tutti i livelli: sensibilizzazione continuativa, comunicazione, progetti sperimentali di accesso al test, protocolli regionali. Usando l’HIV come esempio paradigmatico e attraverso il coinvolgimento della sezione SIMIT regionale, il caso pugliese ha permesso di ragionare sulle aree di miglioramento nella presa in carico dei pazienti con HIV tra ospedale e territorio, di identificare azioni concrete per rafforzare le forme di coordinamento e le connessioni e di ragionare su quali strumenti e condizioni di funzionamento dovrebbero caratterizzare lo sviluppo delle reti infettivologiche a livello regionale. Il caso della Regione Puglia è inoltre emblematico nell’evidenziare l’importanza di un maggiore investimento sull’integrazione tra i vari attori nella gestione della patologia.

Come sviluppare un percorso di presa in carico integrato dei pazienti e come governare la filiera dei servizi? Il caso della Sicilia

Migliorare la presa in carico dei pazienti con HIV tramite la definizione del PDTA, ripensando l’intero iter, dalla diagnosi al follow-up, in ottica integrata tra ospedale e territorio è il focus del caso siciliano. A partire dalla raccolta e analisi in ottica comparativa dei PDTA di altre regioni, e attraverso il coinvolgimento della sezione SIMIT regionale, il caso ha permesso di ragionare sulla presa in carico come governo della filiera dei servizi per un target specifico di pazienti, di identificare gli standard che devono essere garantiti su tutto il territorio regionale nelle diverse fasi, di diagnosi, trattamento e follow-up e di identificare un set di indicatori per il monitoraggio dei percorsi dei pazienti.

Qual è la percezione dei pazienti HIV+ verso la telemedicina? Il caso del Veneto

Il 2020 è stato caratterizzato da una grande accelerata digitale che ha portato allo sviluppo di numerose esperienze “artigianali” di telemedicina, ma qual è la propensione dei pazienti HIV+ all’uso della telemedicina? Con l’obiettivo di sviluppare un modello pilota di presa in carico dei pazienti con HIV in una logica multicanale, sono state identificate le opportunità connesse con la presa in carico a distanza dei pazienti: multicanalità, teleconsulto, televisita. Attraverso la somministrazione di un questionario presso l’AOU di Padova sono state raccolte le risposte di più di 350 pazienti sul tema che mostrano un interesse variabile per la telemedicina, anche in relazione a fattori demografici (es. età, sesso, istruzione) e variabili cliniche (es. regime ART, anni con HIV). Il caso ha permesso di riflettere anche su quali fasi del percorso e quali target di pazienti possono meglio beneficiare di modelli di presa in carico di tipo multicanale.

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